di Nicola Giazzi
Lo sapevo da tempo che sarebbe successo, ma non avrei mai potuto crederci.
Eppure il giorno è arrivato, l’escavatore sta varcando il cancello di casa per abbattere il ciliegio, il mio adorato ciliegio che purtroppo è infruttuoso e malato.
Ci salivo da bambino, c’è stata attaccata la mia altalena fatta di corda e seggiolino di legno.
Quante botte e gambe sbucciate dalla ruvidezza del suo tronco.
Ora sono nella stanza dove dormivo da piccolo, guardo fuori dalla finestra, ho lo sguardo fisso sul mio ciliegio, in sottofondo Carmen Consoli ci mette del suo. (Nei momenti tristi adoro l’autolesionismo).
L’escavatore parte dalle radici.
Lo vedo faticare.
Intimanente tifo per il mio ciliegio.
Una gara senza esclusione di colpi e contraccolpi.
Ma la caduta del gigante è inevitabile e subito comincia la vivisezione col taglio delle radici, tronco, rami…
Durante il tramonto, mi sembrava il momento più dolce per farlo, sono andato a salutarlo.
Gli ho sussurrato che la legge del “non portare più frutto ed essere eliminati” è uguale per tutti. L’unica, forse.
Gli ho reso onore, al mio gigante, e facendo mio il suo profumo, mi sono preso il ricordo di lui.